Un
tempo si poteva essere persone con una miglior coscienza rispetto a
oggi. Gli uomini erano come steli nella messe: Dio, la grandine, il
fuoco, le pestilenze e la guerra li piegavano di qua e di là,
probabilmente con maggior violenza di oggi, ma tutti insieme, come
città, come regione, come campo; e, per quel tanto di movimento
personale che ancora gli restava, il singolo stelo poteva
assumersene la responsabilità, ed era una questione chiaramente
definita.
Oggi invece la responsabilità ha il suo
baricentro non nell’uomo, bensì nei nessi oggettivi. Non avete
notato che le esperienze si sono rese indipendenti dall’uomo? Sono
andate in scena: nei libri, nelle relazioni scientifiche o nei
resoconti di viaggi, nei movimenti d’opinione o nelle comunità
religiose, che coltivano determinati tipi di esperienza a spese di
altri come in un tentativo di sperimentazione sociale; e qualora le
esperienze non si trovino direttamente nel lavoro, aleggiano
nell’aria; chi oggigiorno può ancora dire che la sua collera è
davvero la sua collera, quando tante persone ci mettono bocca e ne
sanno più di lui? S’è creato un mondo di qualità senza uomo, di
esperienze senza colui che le vive, e paradossalmente sembra quasi
che l’uomo non possa più avere alcuna esperienza privata e il
gradevole peso della responsabilità personale debba stemperarsi in
un repertorio di possibili significati. Probabilmente la
dissoluzione di quel sistema antropocentrico che per tanto tempo ha
tenuto l’uomo al centro dell’universo, ma che già da secoli va
declinando, ha finalmente toccato anche l’Io, giacché credere che
in un’esperienza l’importante sia il viverla, e in un’azione
il compierla, comincia a sembrare un’ingenuità alla maggior parte
degli uomini.
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