ISTRUZIONI PER TROVARE POSTI SILENZIOSI
A
me piace il progresso. Non sono uno di quelli che dice “ah, come si
stava bene nel paleolitico, quando eravamo a contatto con la natura e
le controversie venivano risolte in modo semplice e spontaneo: a
mazzate sulla testa”. No, grazie. A me piace la civiltà, mi piace
che si faccia la coda al supermercato, che ci si chieda gentilmente
il permesso prima di accoppiarsi e, cosa non trascurabile, che sia io
a mangiare gli animali e non viceversa. Uno come me nel paleolitico
non sarebbe sopravvissuto neanche un minuto, tempo di mettere la
testa fuori da mia madre e mi sarei preso la polmonite. Ora invece ho
una medicina per tutto: lo sciroppo per la tosse, le pastiglie per lo
stomaco, le gocce per la gente, per non parlare di internet. Come si
faceva a vivere prima di internet? Se ora voglio il sushi, apro il
computer e lo ordino. Prima uno cosa doveva fare? Uscire di casa? Ma
siamo matti? Ciononostante devo dire che c’è una cosa, una sola,
che invidio molto al passato: il silenzio.
Oggi
sembra che tutto sia congegnato per cancellare il silenzio: clacson,
suonerie, betoniere, persino in aereo, a undicimila metri di quota,
c'è un casino pazzesco, e non mi si dica che è il rumore dei
motori, per favore. È chiaramente un suono diffuso all’interno
della cabina per coprire l’insostenibile silenzio che ci sarebbe a
quella quota, perché, lo sappiamo, la gente non riesce a sopportare
il silenzio, al massimo lo regge per un minuto, non di più. È come
se il silenzio potesse rivelare qualcosa di terribile, qualcosa che
sotto sotto tutti sanno ma non vogliono sentirsi dire.
Fra
tutti gli strumenti che l'uomo ha ideato per eliminare il silenzio,
ce n’è uno che li batte tutti: le canzoni. Lo scopo principale
delle canzoni non è fare musica, come ingenuamente si crede, ma
cancellare in modo sistematico e definitivo dall’esistenza umana
ogni traccia di silenzio, anche la più piccola, e questo vale per
tutte le canzoni, da Gigi D’Alessio ai Radiohead, su su fino ai
Girls in Hawaii. Le canzoni sono dappertutto, nei bar, in palestra,
nelle sale d’attesa, persino nei bagni pubblici, e anche se ti
chiudi nel ripostiglio di casa tua e ti tappi le orecchie, le canzoni
continueranno comunque a risuonarti nella testa con le loro melodie
orecchiabili. Non vorrei sembrare esagerato, ma le canzoni sono la
negazione ontologica del silenzio, perché non si limitano a
coprirlo, cosa che può fare anche un banale neonato, ma lo
annientano come possibilità. A causa delle canzoni, non è rimasto
nessun posto sulla Terra dove si possa trovare un po’ di silenzio.
Ecco una lista dei posti dove ultimamente l’ho cercato:
-
Camera da letto.
-
Box doccia.
-
Cassetto delle posate.
-
Bilbao.
-
Monte Cimone.
Niente
da fare, è più facile trovare un valigia con un milione di euro
(piccola nota: non ho trovato nemmeno quella). Quindi? Quindi niente,
sembrerebbe non esserci nessuna speranza. In realtà un piccolo posto
silenzioso è rimasto, solo che non è un luogo fisico, ma un luogo
dell’anima.
Ah
ah ah scherzo! Il giorno in cui scriverò seriamente “luogo
dell’anima”, per favore qualcuno mi abbatta. Dicevo, un posto
silenzioso c’è, ed è la musica, dove con “musica” intendo la
musica cosiddetta classica, anche se sarebbe più corretto chiamarla
“musica europea dal Cinquecento a oggi escluse le canzoni”, ma
che qui per semplicità chiamerò, appunto, “musica”. A
differenza delle canzoni, la musica non solo non cancella il
silenzio, ma lo contiene, lo usa e in qualche caso particolarmente
fortunato lo crea.
Il
modo più brutale per vedere il contenuto di silenzio di un brano
musicale è guardare la sua onda sonora. Questa è l’onda di
Misses, una canzone che ho impiegato circa tre mesi a togliermi dalle
orecchie.
Mentre
questa è quella del primo movimento della quinta sinfonia di
Beethoven
Mentre
nella sinfonia ci sono i forte e i piano, i pianissimo, i piano
pianissimo e addirittura le pause, la canzone è praticamente tutta
sparata al massimo. Questo è ottenuto con la compressione
dell’intervallo dinamico, un effetto molto usato nella musica
leggera e che serve a rendere il volume uniforme. È per questo che
le canzoni si prestano così bene a fare da tappezzeria sonora: sono
sempre perfettamente udibili dall’inizio alla fine, senza il
rischio di pericolosi silenzi.
Ma
oltre al silenzio come assenza di suoni, c’è anche un altro tipo
di silenzio, quello che si ha quando ciò che potrebbe essere detto
non viene detto e, in certi casi, se è non detto bene, può essere
più eloquente di ciò che viene detto. A differenza delle canzoni,
dove tutto è esplicito e esibito come in un film porno, la musica
parla anche attraverso quello che non dice. Prendiamo per esempio
questa fuga del Clavicembalo Ben Temperato.
Le
quattro voci iniziano a parlare una alla volta, si rispondono, si
ripetono (nello stesso modo o capovolte), si inseguono e soprattutto
qualche volta tacciono. Non parlano sempre tutte assieme, a volte
sono in tre, in un paio di casi rimangono solo in due, ma le voci che
tacciono non spariscono, sono sempre lì anche loro, potrebbero
parlare ma per qualche motivo preferiscono stare in silenzio, ed è
così bello ascoltare le persone che stanno in silenzio.
Pubblicato
da Smeriglia | 5.6.17
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