Poi
cominciò a parlare delle cose che una volta erano utili, sulle quali
c’era consenso, e che ora invece ispiravano sfiducia, come i
sorrisi per esempio, negli anni Cinquanta, disse, un sorriso ti
apriva tutte le porte. Ora un sorriso ispira diffidenza. Una volta,
se eri un venditore ed entravi in qualche posto, la cosa migliore era
fare un gran sorriso. Lo stesso se eri cameriere o manager,
segretaria, medico, sceneggiatore o giardiniere. Gli unici che non
sorridevano mai erano i poliziotti e le guardie penitenziarie. Quelli
sono rimasti uguali. Ma gli altri, cercavano tutti di sorridere. Fu
il momento d’oro dei dentisti negli Stati Uniti. I neri,
naturalmente, sorridevano sempre. I bianchi sorridevano. Gli
asiatici. Gli ispanici. Ora sappiamo che dietro un sorriso può
nascondersi il tuo peggior nemico. O, detto in altro modo, non ci
fidiamo più di nessuno, a partire da quelli che sorridono, perché
sappiamo che cercano di ottenere qualcosa da noi. Eppure la
televisione americana è piena di sorrisi e di dentature sempre più
perfette. Vogliono farci credere che sono brave persone, incapaci di
fare del male a una mosca? Nemmeno. In realtà non vogliono nulla da
noi. Vogliono solo mostrarci le loro dentature, i loro sorrisi, senza
chiederci niente in cambio salvo la nostra ammirazione. Ammirazione.
Vogliono che li guardiamo, tutto qui. Le loro dentature perfette, i
loro corpi perfetti, i loro modi perfetti, come se si stessero
perennemente staccando dal sole e fossero pezzi infuocati, frammenti
d’inferno ardente, la cui presenza su questo pianeta obbedisce
unicamente alla necessità di essere ossequiati.
Roberto Bolaño, 2666
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