Un
sistema analogico parte dall’idea che esista una realtà oggettiva
in questo mondo –un mondo assolutamente unico, o perfetto– e il
nostro scopo consista nell’affrontare questa unicità e nel mirare
a questa perfezione. Come nell’eterno rebus sull’impossibilità
di andare da un punto A a un punto B (la distanza rimanente può
essere sempre dimezzata, a prescindere dal cammino percorso), non
raggiungeremo mai l’obiettivo ma lotteremo per esso, fedeli alla
nostra natura eroica. Per questa ragione la parola fedeltà, con
tutte le sue implicazioni di “verità”, echeggiò tanto
potentemente per i primi audiofili.
Un
sistema digitale rappresenta la negazione più totale di quest’idea:
muove invece da un’idea di perfezione e procede a ritroso. Il
sistema del CD “sa” che l’intera realtà sonora può essere
rappresentata con precisione mediante un insieme di 65.000 componenti
di base, purché 44.100 di questi vengano utilizzati per ogni
secondo. Inoltre, la perfezione –intesa nel senso analogico–
non è contemplata nemmeno come possibilità teorica. Potrete
campionare un segnale un miliardo di volte al secondo e ancora vi
troverete a spezzettare una curva fluida; poco importa quanti bit
userete per descriverlo, otterrete sempre e solo un’approssimazione,
un compromesso –per quanto minimo– della realtà sonora. Come
aveva affermato un tempo Ivan Davis, l’analogico rappresenta
“l’approssimazione della perfezione”, mentre il digitale
“perfeziona l’approssimazione”.
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