venerdì 31 maggio 2019
Diversità
Oggi
si dà alla parola diverso
una dimensione fisica o psichica limitata alla sfera affettiva,
personale. I veri diversi, per mia esperienza, sono altri, e sono di
sempre: sono i cercatori d’identità, propria e collettiva, e
nazionale, e d’anima. Coloro che videro il cielo, che mai lo
dimenticarono, che parlarono al disopra dell’emozione, dove l’anima
è calma. Che non credono, o credono poco, ai partiti, le classi, i
confini, le barriere, le fazioni, le armi, le guerre. Che nel denaro
non hanno posto alcuna parte dell’anima, e quindi sono
incomparabili.
Quelli
che vedono il dolore, l’abuso; vedono la bontà o l’iniquità,
dovunque siano, e sentono come dovere il parlarne. I cercatori di
silenzio, di spazio, di notte, che è intorno al mondo, di luce che è
intorno al cuore. Questi diversi, che vorrebbero semplicemente dare
il senso del segreto umano, e trovare, o indicare, il rapporto di
dovere tra vita e vita, non dovrebbero, io penso, essere considerati
scrittori moralistici o politici. Ma è quello che si fa, quando non
hanno difesa di confratelli, e lo spazio per loro, nel paese, va
vertiginosamente rimpicciolendo. È quello che si fa, se non hanno
denaro proprio e, ripeto, sono fragili. A loro la vita viene
sottratta con la sottrazione dell’altro – che ora parla altra
lingua! E quando vorrà mostrare a che cosa, nel suo paese, e sotto
gli occhi di tutti, sia ridotta la vita – discarica e ammazzatoio,
dopo allevamento e oscuramento – lo si indicherà come guastatore e
visionario. E del resto, poco per volta, facendo scendere su di lui,
per ogni libro, la cappa del silenzio o, alzando i megafoni della
distorsione, gli saranno tolti lecito guadagno e quella sempre
sperata indipendenza; e sotto la spada della dipendenza, condotto a
un cortile, un luogo di servitù e di silenzio dove vivono le
minoranze – che impediscono gli affari – di tanti paesi, a lui
toccherà, con l’indebolimento, un ben strano destino. Di credersi
il peggiore e trovarsi, alla fine, dopo mille convulsioni di speranza
e di dolore, d’accordo con quanti lo spinsero via e persuasero di
essere un sognatore, con nulla o quasi da dire.
E
forse il castigo, forse non castigo – reale sanzione del nulla a
coloro che onorarono la maestà del vivere e patire terreno -, fu
l’indurli a credere che non vi era maestà del vivere e del patire.
Che la vita, semplicemente, onorava il «buon senso»: e il trionfo
del «buon senso» su una qualsiasi fede, il piede pressato
freddamente sul cuore del vinto, era in realtà tutto ciò che agli
onesti, ai normali, Dio richiedeva.
Anna
Maria Ortese, Corpo celeste, Adelphi
giovedì 30 maggio 2019
mercoledì 29 maggio 2019
Donne, Violenza, Giustizia
Questa
è la storia di
Barbara
Bartolotti.
Barbara
all’epoca dei fatti, nel
2003,
aveva 29 anni, un marito poliziotto
e
due bambini. Lavora
come contabile in un’azienda edile di Palermo. Scopre di
aspettare il terzo figlio e a questa notizia un suo collega, da tempo
segretamente invaghito di lei, reagisce male. L’uomo non accetta
che la donna non possa essere sua, nonostante fra loro non ci sia mai
stata una relazione.
Con
il pretesto di un sopralluogo lavorativo, l’uomo porta Barbara in
un luogo isolato e mentre lei chiama al cellulare il marito la
colpisce alle spalle con quattro martellate in testa. Poi
l’accoltella al ventre, causando la morte del feto. Infine la
cosparge di giornali e liquido infiammabile appiccando il fuoco. «Mi
ha dato quattro martellate, mi ha ficcato un coltello nell' addome
poi mi ha gettata fuori dall' auto. Purtroppo non era ancora
soddisfatto: ha preso dal bagagliaio una tanica con del combustibile
per mezzi agricoli, me l' ha gettato addosso e mi ha dato fuoco. "Se
non posso averti - mi ha gridato - non deve averti nessuno"».
Si allontana solo quando Barbara si finge morta. Ma Barbara
Bartolotti non è morta. Pensando ai suoi
figli
la donna trova la forza di alzarsi, spegnere le fiamme e chiedere
aiuto a due ragazzi che passano in macchina.
Dopo
10 giorni esce dal coma, l’aspettano 6 mesi di ospedale, 27
interventi per le ustioni di terzo grado riportate al viso, al petto,
alle gambe e al ventre dentro al quale, subito dopo l' aggressione,
il cuore del suo terzo figlio aveva smesso di battere.
Il
suo aguzzino, incensurato, si è avvalso del patteggiamento e rito
abbreviato; viene considerato dai giudici colpevole solo di lesioni
gravissime e non di tentato omicidio. Avrebbe dovuto scontare 25 anni
di carcere, ma alla fine se la cava con appena 4
anni di domiciliari.
Con l’
indulto non ne ha scontato
nemmeno uno.
Lei
è stata licenziata. Lui
invece ora lavora in banca, ha fatto carriera e si è sposato.
martedì 28 maggio 2019
lunedì 27 maggio 2019
Roulette
I
have a problem that I cannot explain
I
have no reason why it should have been so plain
Have
no questions but I sure have excuse
I
lack the reason why I should be so confused
Vesuvius
Mount
Vesuvius is a somma-stratovolcano located in Campania, Italy, about
5.6 miles (9 km) east of Naples. It is best known for its eruption in
AD 79, which killed thousands and destroyed the Roman cities of
Pompeii, Herculaneum, Oplontis and Stabiae.
With an eruption as
recent as 1944 and at least 3 million living nearby, Vesuvius is
regarded as one of the most dangerous volcanoes in the world.
Instagram:
https://bit.ly/2MpaVF9
40°49'00.0"N
14°26'00.0"E
Source
imagery: Maxar Technologies
domenica 26 maggio 2019
sabato 25 maggio 2019
venerdì 24 maggio 2019
Schermi
Con
la modernità, in cui non smettiamo di accumulare, di aggiungere, di
rilanciare, abbiamo disimparato che è la sottrazione a dare la
forza, che dall’assenza nasce la potenza. E per il fatto di non
essere più capaci di affrontare la padronanza simbolica
dell’assenza, oggi siamo immersi nell’illusione inversa, quella,
disincantata, della proliferazione degli schermi e delle immagini.
giovedì 23 maggio 2019
mercoledì 22 maggio 2019
Lucidità
Che
cosa sono tutti gli sforzi dell’umanità, tutto ciò che si chiama
storia, civiltà, tutto ciò che l’uomo fa e ciò che fa l’uomo,
che cos’è tutto questo, se non un inutile e vano tentativo di
opporsi all’assurdo della morte universale, di dare ad essa un
senso apparente, come se la morte potesse avere un senso, come se
alla morte si potesse dare un significato e un senso diverso da
quello che ha! I filosofi, i più cinici, tentano di dare un senso al
non senso della morte mediante una logica superiore o una battuta
spiritosa che possano servire di consolazione generale, ma quello che
resta, almeno per me, il massimo dei misteri è la domanda: che cos’è
che permette all’uomo, nonostante la sua consapevolezza della
morte, di vivere e di operare come se essa fosse qualcosa di estraneo
a lui, come se la morte fosse un fenomeno naturale? Il tremito che mi
ha scosso negli ultimi giorni mi ha aiutato a capire, nonostante i
gravi attacchi di paura, che la mia malattia non è altro che questo:
a volte, per ragioni a me del tutto ignote e per impulsi
assolutamente incomprensibili, io divento lucido, in me compare la
coscienza della morte, della morte in quanto tale; in questi momenti
di illuminazione diabolica la morte acquista per me il peso e il
significato che essa ha 'an sich', e che gli uomini perlopiù non
intuiscono nemmeno (ingannandosi con il lavoro e con l’arte,
mascherando il suo senso e la sua vanitas con formule filosofiche),
scoprendo il suo vero significato solo nel momento in cui essa bussa
alla porta, in modo chiaro e inequivocabile, con la falce in mano,
come nelle incisioni medievali. Ma quello che mi atterriva (la
consapevolezza non genera consolazione) e accresceva ancor di più il
mio tremito interiore, era la coscienza che la mia follia era in
fondo lucidità e che per guarire – perché questo continuo tremito
è insopportabile – avevo bisogno proprio della follia, della
demenza, dell’oblio, e che solo la demenza mi avrebbe guarito! Se
per caso il dottor Papandopulos mi interrogasse ora sul mio stato di
salute, sull’origine dei miei
traumi, delle mie paure, adesso saprei rispondergli in modo chiaro e
inequivocabile: la lucidità.
martedì 21 maggio 2019
Sicurezze
Al
di fuori di una poesia, di un quadro, di una metafora, di una
architettura o di una musica, la sicurezza si può raggiungere forse
solo a costo di una ben precisa limitazione di sé, chiudendosi nel
recinto di una porzione di mondo che si conosce e si è scelta, in un
ambiente che ci è noto e comprensibile, nel quale sia possibile
disporre di sé in modo efficace e immediato. Ma possiamo davvero
desiderare una condizione del genere? La nostra sicurezza deve invece
in qualche modo trasformarsi in una relazione con il tutto, con il
mondo nel suo complesso; essere sicuri per noi significa conoscere
l’innocenza del torto e accettare la capacità del dolore di
tramutare in forma; significa rifiutare i nomi per onorare, come
fossero nostri ospiti, i singoli collegamenti e legami che il destino
nasconde dietro ogni nome; significa nutrimento e rinuncia fino a
sprofondare nello spirito, (…) significa non sospettare di nulla,
non tenere nulla a distanza, non considerare nulla come un Altro
irriducibile, significa spingersi oltre ogni concetto di proprietà e
vivere di acquisizioni spirituali e mai di possessi reali (…).
Questa sicurezza tutta da osare accomuna le ascese e le cadute della
nostra vita e in questo modo dona loro un senso. Accogliere la
vastità dell’insicurezza: in un’infinita insicurezza anche la
sicurezza diviene infinita.
Rainer
Maria Rilke
da La
vita comincia ogni giorno. Lettere
di saggezza e commozione
lunedì 20 maggio 2019
domenica 19 maggio 2019
sabato 18 maggio 2019
venerdì 17 maggio 2019
Calciatori
Le nozze di Messi e “Tito” Malgioglio
Dunque,
i 260 selezionatissimi invitati al matrimonio di Lionel Messi e
Antonella Roccuzzo, celebrato il 30 giugno a Rosario (Argentina),
invitati dagli sposi a non fare regali ma donazioni alla
Organizzazione non governativa Techo Argentina, che si occupa
dell’allestimento di rifugi d’emergenza, hanno raccolto tutti
assieme, da Neymar a Suarez, da Piquè a Shakira, 200 mila pesos, che
tradotti in moneta estera fanno 11 mila dollari, o 10 mila euro se
preferite: media donazione, 37 euro a testa.
Nel
leggere la notizia della miserabile colletta, mi è tornato alla
mente Astutillo Malgioglio, per gli amici Tito, il portiere di
riserva dell’Inter di Trapattoni – quella dello scudetto dei
record – che nel 1987 andai ad intervistare per Il Giorno, il
quotidiano per cui allora lavoravo, a Piacenza, dove Tito abitava.
Avevo saputo che Malgioglio, allora 29enne, aveva aperto vicino a
casa una palestra per la rieducazione motoria dei bambini
cerebrolesi; aveva chiamato la struttura ERA 77 (acronimo di Elena,
il nome della figlia nata appunto nel 1977, di Raffaella, la moglie,
e di Astutillo) e coadiuvato dalla moglie prestava questo servizio
gratuitamente mettendo a disposizione tutto il suo tempo libero. (...)
Malgioglio
mi raccontò cose bellissime e bruttissime. Cose vere. Mi raccontò
che stava facendo tutto questo da 7-8 anni ma a fari spenti, quasi in
incognito: perché non era buona cosa, per come andavano le cose nel
mondo del pallone, che un calciatore professionista si distraesse con
pensieri (o attività) inutili o bizzarre come, appunto, aiutare il
prossimo. A meno di non incontrare sulla propria strada due persone
come Nils Liedholm e Sven Goran Eriksson, come capitò a Tito nei due
anni alla Roma dall’83 all’85, che convinsero Dino Viola a
mettere a disposizione di Malgioglio, nel tempo libero, la palestra
di Trigoria, per permettergli di fare anche a Roma quel che aveva
cominciato a fare a Piacenza.
Mi
raccontò che l’Associazione Calciatori, sul suo giornale, aveva
aperto una sottoscrizione tra tutti gli iscritti (gli oltre mille
calciatori di serie A, serie B, serie C1 e serie C2) per raccogliere
fondi a favore dell’attività di Tito; e che alla fine il ricavato
era stato di 700 mila lire, che con un certo imbarazzo l’AIC aveva
provveduto a fargli avere. Mi raccontò, soprattutto, che un giorno Jurgen Klinsmann lo aveva avvicinato e gli aveva
chiesto come mai finiti gli allenamenti lo vedesse andarsene, sempre,
così di fretta a Piacenza. Tito gli aveva spiegato il perché e
Klinsmann gli aveva detto: domani vengo con te, voglio vedere con i
miei occhi quello che fai.
Klinsmann
mantenne la promessa. Salì sul maggiolino scassato di Malgioglio,
andò con lui a Piacenza, passo l’intero pomeriggio a guardare Tito
assistere i bambini cerebrolesi. Poi, prima di risalire sul
maggiolino per farsi riportare a Milano, sfilò di tasca il libretto
degli assegni e senza dire una parola scrisse 70 milioni (settanta
milioni), staccò l’assegno e lo consegnò al compagno. Aveva gli
occhi lucidi. Come quelli di Malgioglio.
Paolo
Ziliani 7
Agosto 2017
Likoi
Il
Lykoi è una razza di gatto domestico selezionata molto recentemente;
è stato selezionato da una coppia di allevatori del Tennessee che
hanno trovato in una loro cucciolata due gattini che presentavano un
“difetto” genetico. L’aspetto del Lykoi è infatti dovuto a un
gene, una mutazione naturale, e non da incroci con gatti senza pelo
(quali lo Sphinx) come alcuni avevano inizialmente pensato.
Il
Lykoi è privo di peli attorno a occhi, naso, orecchie e muso
ed ha due grandi occhi dorati. Il
pelo restante è generalmente brizzolato.
Il
suo aspetto spelacchiato ha portato ad affibbiargli il soprannome di
“gatto lupo” o “gatto mannaro”.
Le
ricerche svolte su queste creature hanno portato a scoprire che
alcuni dei follicoli piliferi dei gatti non hanno tutti i componenti
necessari per creare il pelo. Inoltre anche i follicoli sani non sono
sempre in grado di mantenerlo. Il Lykoi può infatti diventare
completamente nudo per alcuni periodo di tempo. Questi gatti sono
inoltre un po’ più piccoli del tipico gatto europeo: la femmina
pesa sui 3kg mentre il maschio può arrivare ai 4,5kg.
giovedì 16 maggio 2019
mercoledì 15 maggio 2019
lunedì 13 maggio 2019
L'amore
L’amore
è diverso
da
quello che credevo,
più
vicino a un’ape operaia
a
un tessitore
che
a un acrobata ubriaco,
più
simile a un mestiere
che
a un sentire.
Io
amavo
un
po’ con la memoria astrale
e
un po’ con giustizia poetica,
ma
l’amore
è
più vicino a una scienza
che
a una poesia,
ha
delle sue regole di risonanza
e
altre di respingenza,
ha
angoli di incidenza
per
profili alari e luce,
ma
non ha regole per il buio
e
l’assenza di ali.
L’amore
è molto simile
all’insonnia,
non
devi soffrirla
solo
ospitarla,
lasciare
che ti squassi
faccia
di te un sistema nervoso
senza
isolamento,
una
corda tesa
di
strumento musicale ignoto.
Essere
temi musicali
non
è una vocazione
ma
una disciplina di spoliazione,
è
farsi ossi
limati
dalle
onde
goccia
che si disfa
nel
galoppante mare.
Chandra
Livia Candiani, da Fatti Vivo
sabato 11 maggio 2019
Fisica della malinconia
C'è
una qualche grammatica dell'invecchiamento. L'infanzia e la
giovinezza sono piene di verbi. Non puoi mai startene fermo. Tutto in
te cresce, trabocca, si sviluppa. [...] L'invecchiamento
è aggettivale. Entriamo negli aggettivi della vecchiaia lenti,
indeterminati,
nebulosi, freddi o trasparenti come vetro
Georgi
Gospodinov, Fisica
della malinconia
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