domenica 5 maggio 2019

Gatti




A Parigi, mentre lavoravo a L' occhio della patria, in un quinto piano inaccessibile, mi è apparso un gatto equilibrista che camminava lungo i tubi delle grondaie. Per sentirmi più sicuro di me, ho messo un gatto nero all' inizio e uno rosso alla fine di Un' ombra ben presto sarai. Per dirla in parole povere: ci sono gatti in tutti i miei romanzi. Sono uno di loro, pigro e distaccato. Anche se non ho mai imparato le finezze della specie. In questo stesso momento, una delle mie gatte si sta lavando le zampe distesa sulla tastiera, e devo scostarla con delicatezza per poter continuare a scrivere. Sono cinque mesi che non accendiamo una sigaretta. Insieme subiamo la vessazione dell' astinenza e della vita sana. Qualche mese fa questa stanza era un bruciatoio di meravigliose fragranze. Tabacchi d' Argentina, di Cuba e di Olanda, niente più; abbiamo dovuto rinunciare a una parte dell' attrezzatura che è propria dei duri: sigaretta, cappello, impermeabile, il revolver giocattolo. (...)
Tutti gli scrittori che hanno cuore si sono conquistato un gatto che li segue e li protegge. (...) Uno scrittore senza gatto è come un cieco senza lazarillo. Non è possibile usare il gatto per qualcosa di personale, non c'è verso di privatizzarli. In Effetto notte, François Truffaut consiglia ai registi di non confrontarsi mai con un gatto in azione. Me lo disse anche Héctor Olivera quando si trattava di scrivere la sceneggiatura di Una sombra ya pronto serás. Come fare a far interpretare disciplinatamente da due gatti il ruolo di quelli che appaiono nel romanzo? Io li avevo messi nel trattamento soltanto per placare le mie paure. Con un sorriso, Olivera mi disse che ero matto: un gatto attore, quello nero, doveva seguire il personaggio di Miguel Angel Solá, lavarsi accanto a lui, mangiare un topo e mettersi a dormire. L' altro, quello rosso, appare alla fine, poco dopo che Pepe Soriano, il Coluccini del film, ha avuto una conversazione con Dio. Olivera decise che non ci sarebbero stati gatti, ma credo di essere ancora in tempo per convincerlo a inquadrare almeno una silhouette. (...) 
Quand' ero piccolo, il mio gatto Pulqui era scimmia, leone, pirata e bandito. Io gli tendevo agguati tra le piante del giardino e gli saltavo addosso con il coltello di legno tra i denti. Adesso mio figlio combatte contro la gatta Virgula, che gli restituisce colpo su colpo. Sono graffi per finta, in un vortice di sedie rovesciate e gerani in fiore. Le sue, come le mie di allora, sono fantasie di foreste e mari, di castelli e moschettieri. Quegli anni felici e irrecuperabili in cui si impara, se mai si impara qualcosa, che i gatti ci portano a domicilio il mistero della creazione. Chandler attribuiva loro tutta la sapienza e credeva che provocassero l' esplosione creativa. Un giorno gli chiesero di parlare di Philip Marlowe e preferì che fosse Taki a farlo per lui. Era convinto che fosse la gatta a scrivere i suoi romanzi, nel cuore della notte. A me succede qualcosa di simile. Richard Matheson perdette tutto, la casa, i mobili e i premi, ma riuscì a salvare l' essenziale: quello sguardo che lo sostiene durante la notte, quando la parola non arriva e il romanzo non procede. Quello sguardo che ci inchioda alla sedia, quel ronfare che precede l' arrivo del diavolo. Poe, Lovecraft e Matheson associarono i gatti all' orrore; nei cartoni animati, William Hanna e Joe Barbera assegnarono a Tom il ruolo di vittima e al topo Jerry quello del furbo. Il gatto Felix fu un grande eroe yankee degli anni Trenta, puritano e inquieto. Fritz the Cat, di Ralph Baskhi e Robert Crumb, sintetizzò gli eroici e crudeli anni della mia gioventù; dato che uscì nel 1968, Fritz è il primo gatto disegnato che torna dal Vietnam, si droga, si trascina da un postribolo all' altro, fuma come un assatanato, va a letto con le migliori ragazze, compresa sua sorella, e finisce assassinato da una gatta vecchia che aveva lasciato in tempi migliori. Invece, Walt Disney detestava i gatti. Soltanto nel 1970 si decise a creare un personaggio che, naturalmente, non gli portò successo né denaro. Disney era una di quelle persone che non si fanno mai voler bene dai gatti. Credo che sia stato Chandler a dirlo. Non so se nella biografia del detective Marlowe o nella propria. 
Giorni fa, una ricercatrice che sta preparando un libro di interviste a scrittori argentini, ha chiesto ai suoi interlocutori di tracciare ciascuno una breve autobiografia. Come fare? Come parlare di noi se non sappiamo chi siamo? Le ho detto che non ho biografia. Me la inventeranno i gatti che verranno quando me ne starò, bello soddisfatto, seduto sul cerchio della luna.

Osvaldo Soriano, Ribelli, sognatori e fuggitivi










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