A
Parigi, mentre lavoravo a L' occhio della patria, in un quinto piano
inaccessibile, mi è apparso un gatto equilibrista che camminava
lungo i tubi delle grondaie. Per sentirmi più sicuro di me, ho messo
un gatto nero all' inizio e uno rosso alla fine di Un' ombra ben
presto sarai. Per dirla in parole povere: ci sono gatti in tutti
i miei romanzi. Sono uno di loro, pigro e distaccato. Anche se non ho
mai imparato le finezze della specie. In questo stesso momento, una
delle mie gatte si sta lavando le zampe distesa sulla tastiera, e
devo scostarla con delicatezza per poter continuare a scrivere. Sono
cinque mesi che non accendiamo una sigaretta. Insieme subiamo la
vessazione dell' astinenza e della vita sana. Qualche mese fa questa
stanza era un bruciatoio di meravigliose fragranze. Tabacchi d'
Argentina, di Cuba e di Olanda, niente più; abbiamo dovuto
rinunciare a una parte dell' attrezzatura che è propria dei duri:
sigaretta, cappello, impermeabile, il revolver giocattolo. (...)
Tutti
gli scrittori che hanno cuore si sono conquistato un gatto che li
segue e li protegge. (...) Uno scrittore senza gatto è come un cieco
senza lazarillo. Non è possibile usare il gatto per qualcosa di
personale, non c'è verso di privatizzarli. In Effetto notte,
François Truffaut consiglia ai registi di non confrontarsi mai con
un gatto in azione. Me lo disse anche Héctor Olivera quando si
trattava di scrivere la sceneggiatura di Una sombra ya pronto
serás. Come fare a far interpretare disciplinatamente da due
gatti il ruolo di quelli che appaiono nel romanzo? Io li avevo messi
nel trattamento soltanto per placare le mie paure. Con un sorriso,
Olivera mi disse che ero matto: un gatto attore, quello nero, doveva
seguire il personaggio di Miguel Angel Solá, lavarsi accanto a lui,
mangiare un topo e mettersi a dormire. L' altro, quello rosso, appare
alla fine, poco dopo che Pepe Soriano, il Coluccini del film, ha
avuto una conversazione con Dio. Olivera decise che non ci sarebbero
stati gatti, ma credo di essere ancora in tempo per convincerlo a
inquadrare almeno una silhouette. (...)
Quand'
ero piccolo, il mio gatto Pulqui era scimmia, leone, pirata e
bandito. Io gli tendevo agguati tra le piante del giardino e gli
saltavo addosso con il coltello di legno tra i denti. Adesso mio
figlio combatte contro la gatta Virgula, che gli restituisce colpo su
colpo. Sono graffi per finta, in un vortice di sedie rovesciate e
gerani in fiore. Le sue, come le mie di allora, sono fantasie di
foreste e mari, di castelli e moschettieri. Quegli anni felici e
irrecuperabili in cui si impara, se mai si impara qualcosa, che i
gatti ci portano a domicilio il mistero della creazione. Chandler
attribuiva loro tutta la sapienza e credeva che provocassero l'
esplosione creativa. Un giorno gli chiesero di parlare di Philip
Marlowe e preferì che fosse Taki a farlo per lui. Era convinto che
fosse la gatta a scrivere i suoi romanzi, nel cuore della notte. A me
succede qualcosa di simile. Richard Matheson perdette tutto, la casa,
i mobili e i premi, ma riuscì a salvare l' essenziale: quello
sguardo che lo sostiene durante la notte, quando la parola non arriva
e il romanzo non procede. Quello sguardo che ci inchioda alla sedia,
quel ronfare che precede l' arrivo del diavolo. Poe, Lovecraft e
Matheson associarono i gatti all' orrore; nei cartoni animati,
William Hanna e Joe Barbera assegnarono a Tom il ruolo di vittima e
al topo Jerry quello del furbo. Il gatto Felix fu un grande eroe
yankee degli anni Trenta, puritano e inquieto. Fritz the Cat, di
Ralph Baskhi e Robert Crumb, sintetizzò gli eroici e crudeli anni
della mia gioventù; dato che uscì nel 1968, Fritz è il primo gatto
disegnato che torna dal Vietnam, si droga, si trascina da un
postribolo all' altro, fuma come un assatanato, va a letto con le
migliori ragazze, compresa sua sorella, e finisce assassinato da una
gatta vecchia che aveva lasciato in tempi migliori. Invece, Walt
Disney detestava i gatti. Soltanto nel 1970 si decise a creare un
personaggio che, naturalmente, non gli portò successo né denaro.
Disney era una di quelle persone che non si fanno mai voler bene dai
gatti. Credo che sia stato Chandler a dirlo. Non so se nella
biografia del detective Marlowe o nella propria.
Giorni
fa, una ricercatrice che sta preparando un libro di interviste a
scrittori argentini, ha chiesto ai suoi interlocutori di tracciare
ciascuno una breve autobiografia. Come fare? Come parlare di noi se
non sappiamo chi siamo? Le ho detto che non ho biografia. Me la
inventeranno i gatti che verranno quando me ne starò, bello
soddisfatto, seduto sul cerchio della luna.
Osvaldo
Soriano,
Ribelli, sognatori e fuggitivi
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