Io
mi faccio incontro a qualcuno e penso: che cosa stai pensando? Posso,
mi chiedo, fare un tratto di strada insieme con te nel tuo cervello?
La risposta è: no! Non possiamo camminare insieme per una stessa
strada in un unico cervello. Noi ci costringiamo a non percepire il
nostro abisso. Eppure, per tutta la vita, non facciamo altro che
guardare giù, al nostro abisso fisico e psichico, pur senza
percepirlo… molte volte, mentre conversiamo con qualcuno, ci
tranquillizza l’ipotesi che a rendere il mondo del nostro
interlocutore più grande del nostro per altezza e profondità sia
soltanto una piccola, micidiale differenza. Noi infatti siamo
senz’altro in grado di esaminare una cosa contemporaneamente dal
punto di vista dell’infinità della sua larghezza e da quello
dell’infinità della sua lunghezza. Nelle nostre lettere ci
raccontiamo l’un l’altro quello che ci sembra importante - spesso
soltanto piccoli particolari, al fine di descrivere alcuni dettagli
della strada che la nostra persona percorre inoltrandosi verso la
propria fine – confidando che l’altra persona stia percorrendo lo
stesso tratto di strada. Certe persone che non ci sono simpatiche non
le lasciamo recitare nello spettacolo che abbiamo allestito; se vi si
introducono, noi le scacciamo. Se uno si rende perfettamente conto
dell’aspetto meccanico del proprio corpo, non riesce più a
respirare.
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