domenica 24 settembre 2017

Shuttlebox




Se volete vedere la malvagità umana in tutta la sua purezza, ingegnosità e disinvoltura, la troverete in uno shuttlebox. 
E’ uno strumento di tortura inventato da R. Solomon, L. Kamin e L. Wynne, psicologi di Harvard. Consiste in una gabbia divisa in due scomparti da una barriera. Il pavimento di entrambi gli scomparti è costituito da una griglia elettrificata. Solomon e i suoi collaboratori mettevano un cane in uno dei due scomparti e poi gli applicavano una forte scossa elettrica alle zampe. Istintivamente il cane saltava da uno scomparto all’altro.
La procedura veniva ripetuta parecchie centinaia di volte nel corso di un esperimento tipico. Di volta in volta, però, il salto diventava più difficile perché gli sperimentatori alzavano gradualmente la barriera. Alla fine il cane non riusciva più a saltare e si lasciava cadere sulla griglia elettrificata: un rottame ansimante, ululante in preda agli spasmi.
In una variante gli sperimentatori facevano passare la corrente nel pavimento di entrambi gli scomparti. Ovunque fosse saltato, il cane avrebbe comunque subito una scossa. Ciononostante, dato che il dolore provocato della scossa era intenso, il cane cercava di scappare, per quanto il tentativo fosse vano. E così saltava da una griglia elettrificata all’altra. I ricercatori, nella documentazione dell’esperimento, riferirono che il cane emetteva “un acuto grido anticipatorio che si trasformava in un guaito quando atterrava sulla griglia elettrificata”. Il risultato finale era lo stesso. Esausto, il cane giaceva sul pavimento urinando, defecando, guaendo, tremando. Dopo alcuni giorni – da dieci a dodici – di esperimenti di questo genere, l’animale smetteva di resistere alla scossa elettrica.
Se fossero stati scoperti a fare cose simili nell’ intimità delle loro case, Solomon, Kamin e Wynne sarebbero stati incriminati, multati e probabilmente avrebbero avuto la proibizione di tenere animali da compagnia per un periodo da cinque ai dieci anni. Sarebbero dovuti andare in carcere, ma siccome invece svolgevano quel lavoro in un laboratorio di Harvard, furono ricompensati con gli equivoci simboli del successo accademico: stile di vita piacevole, generoso stipendio, adorazione degli studenti e gelosia dei colleghi.
Torturare cani fu ciò che fece fare carriera a tutti loro e generò un’intera dinastia di imitatori. Quel tipo di esperimento continuò per più di tre decenni.
L’epigono più famoso, Martin Seligman, è stato un recente presidente dell’American Psychological Association. Seligman, adesso non fa più cose del genere. Il suo argomento di studio adesso è la felicità.
Naturalmente i cani non figurano mai in esperimenti che li rendono felici. A loro è consentito trovarsi soltanto negli esperimenti orrendi.
Perché veniva permessa questa tortura?
Perché si pensava che costituisse una valida ricerca?
Gli esperimenti furono pensati per dimostrare il modello della cosidetta “impotenza appresa” usato per spiegare la depressione: l’idea era che la depressione fosse qualcosa che poteva essere imparata.
Per un po’ gli psicologi l’accettarono come un risultato di grande importanza. Tuttavia nessun essere umano trasse mai alcun beneficio da quegli esperimenti. In seguito – dopo trent’anni di elettrocuzioni di cani e altri animali vari – si giunse alla conclusione che il modello non reggeva affatto a un approfondito esame critico.

Tratto da: Mark Rowlands, “Il lupo e il filosofo”






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